Archivio mensile:febbraio 2016

Il conduttore che non restituisce l’immobile commerciale in attesa del pagamento dell’indennità di avviamento deve pagare il canone

Cass. Sez. III, 20.1.2016 n. 890

Diritto immobiliare – locazione ad uso diverso – avviamento commerciale – indennità – corresponsione – inadempimento – mancato rilascio

Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dagli artt. 27 e 34 della legge n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della medesima legge), in ragione della interdipendenza tra l’obbligazione del locatore di corrispondere l’indennità di avviamento e quella del conduttore di restituire l’immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore è esonerato soltanto dal pagamento del maggior danno ex art. 1591 cod. civ., mentre, in attesa del pagamento dell’indennità di avviamento, è comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione. Ciò sulla premessa di fondo per cui tra le obbligazioni del locatore (di pagare l’indennità di avviamento) e del conduttore (di restituire l’immobile locato ad uso commerciale) sussiste una precisa interdipendenza sostanziale (prima ancora che processuale, ai sensi dell’art. 69 della legge n. 392 del 1978), con la conseguenza che “il conduttore che rifiuta la restituzione dell’immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell’indennità per l’avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo.

La banca è responsabile per l’uso illecito del bancomat

Cass. Sez. I, 19.1.2016 n. 806

Diritto bancario – bancomat – uso illecito – responsabilità della banca – sussistenza

Ai fini della valutazione della responsabilità contrattuale della banca per il caso di utilizzazione illecita da parte di terzi di carta bancomat trattenuta dallo sportello automatico, non può essere omessa, a fronte di un’esplicita richiesta della parte, la verifica dell’adozione da parte dell’istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, nonostante 1 ‘intempestività della denuncia dell’avvenuta sottrazione da parte del cliente e le contrarie previsioni regolamentari; infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell’accorto banchiere.

La definizione dei contratti di borsa cali options e put opions

Cass. Sez. III, 19.1.2016 n. 763

Diritto finanziario – contratti di borsa – derivati – cali e put options – definizione

Le cali options sono dei contratti in cui l’acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare un determinato bene a un prezzo specifico. Le put options sono invece dei contratti in cui l’acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un determinato bene a un prezzo specifico. L’acquisto di una opzione cali è uno strumento finanziario utilizzato quando l’investitore ha delle aspettative al rialzo sul titolo sottostante; la differenza che esiste tra l’acquisto di quest’ultimo e quello dell’opzione consiste nel fatto che acquistando il titolo sottostante si incorre nel rischio di subire perdite anche consistenti, in caso di ribasso delle quotazioni, mentre con le opzioni, il rischio di perdita massima è pari al premio pagato. Inoltre è possibile sfruttare l’effetto leva che permette di amplificare i guadagni; infatti questi strumenti hanno variazioni di prezzo maggiori rispetto a quelle dei loro titoli sottostanti. Per una opzione cali l’effetto leva esprime il rialzo del prezzo dell’opzione rispetto ad una variazione percentuale del prezzo del sottostante titolo.
Viceversa, nel caso di una opzione put, l’effetto leva esprime il rialzo dell’opzione per un ribasso percentuale del titolo sottostante. Perciò la differenza fondamentale delle opzioni rispetto agli altri strumenti derivati consiste nella definizione dei diritti del possessore: egli non è obbligato ad acquistare/vendere il sottostante, ma può farlo se esercitando l’opzione ne trae un’effettiva convenienza economica. Per tale ragione sono anche detti titoli derivati asimmetrici.

Gli ordini di investimento in prodotti finanziari possono essere anche telefonici e non devono essere provati per atto scritto

Cass. Sez. I, 15.1.2016 n. 612

Diritto finanziario – ordini di acquisto – forma – prova

Premesso che la normativa primaria contenuta nel T.U.F. (D.Lgs.n.58/1998) non contiene alcuna prescrizione di forma per gli ordini conferiti dal cliente in attuazione del c.d. contratto-quadro relativo ai servizi di negoziazione, bensì solo per quest’ultimo, e che quindi del tutto incongruo sarebbe il ritenere che una siffatta prescrizione fosse stata introdotta solo con la normativa regolamentare, deve d’altra parte considerarsi come il significato attribuibile al testo di tali disposizioni (in particolare dell’art. 60 reg. n. 11522/98 che per primo ha introdotto la previsione della registrazione), nella misura in cui si limita ad indicare agli intermediari una condotta da tenere in determinati casi, appare piuttosto da collegare con uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere (in tal senso, cfr. Cass. n. 18140/13 cit.). Deve dunque escludersi che con tali disposizioni regolamentari si sia introdotta un mezzo esclusivo di prova dell’ordine conferito dal cliente, il che esclude anche l’applicabilità della preclusione dettata dall’art. 2725 cc. Pertanto, l’ordine di borsa impartito telefonicamente dal cliente all’operatore bancario e non registrato è valido anche in assenza di attestazione scritta e può essere provato in giudizio anche attraverso presunzioni.

Il curatore può provare in ogni modo la conoscenza del fallimento da parte del creditore ultratardivo

Cass. Sez. VI, 14.1.2016 n. 535

Diritto fallimentare – fallimento – conoscenza – prova

Ai fini dell’ammissibilità della domanda tardiva di ammissione del credito ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 legge fall (cd. supertardiva), il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dall’art. 92 legge fall, integra la causa non imputabile del ritardo da parte del creditore; peraltro, il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento, ind pendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto.

Il creditore che ha riscosso somme dovute durante il concordato preventivo poi risolto non deve restituirle al curatore del fallimento

Cass. Sez. I, 14.1.2016 n. 509

Diritto fallimentare – concordato preventivo – risoluzione – pagamenti – restituzione – insussistenza

In caso di risoluzione del concordato preventivo e di conseguente dichiarazione di fallimento, in applicazione analogica del principio sancito dall’art. 140, terzo comma, legge fall., in tema di concordato fallimentare – secondo cui i creditori anteriori alla riapertura della procedura fallimentare sono esonerati dalla restituizione di quanto hanno riscosso in base al concordato risolto o annullato, sempre che si tratti di riscossioni valide ed efficaci e non di riscossioni cui essi non avevano diritto – sono privi di efficacia quegli atti che, pur trovando la loro ragione d’essere nella procedura concordataria, siano divenuti estranei alle finalità dell’istituto, in quanto eseguiti al di là dei limiti stabiliti nella sentenza di omologazione o in violazione del principio della “par candido creditorum” e dell’ordine delle prelazioni.

La conoscenza dello stato di insolvenza si ha sulla base delle condizioni in cui l’impresa fallita ha operato

Cass. Sez. I, 14.1.2016 n. 504

Diritto fallimentare – fallimento – azione revocatoria – conoscenza stato di insolvenza – presupposti

In tema di revocatoria fallimentare relativa a pagamenti eseguiti dal fallito, il principio secondo il quale grava sul curatore l’onere di dimostrare la effettiva conoscenza, da parte del creditore ricevente, dello stato di insolvenza del debitore va inteso nel senso che la certezza logica dell’esistenza di tale stato soggettivo (vertendosi in tema di prova indiziaria e non diretta) può legittimamente dirsi acquisita non quando sia provata la conoscenza effettiva, da parte di quello specifico creditore, dello stato di decozione dell’impresa (prova inesigibile perché diretta), ne1 quando tale conoscenza possa ravvisarsi con riferimento ad una figura di contraente “astratto” (prova inutilizzabile perché correlata ad un parametro, del tutto teorico, di “creditore avveduto”), bensì quando la probabilità della “scientia decoctionis” trovi il suo fondamento nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, nella specie, il creditore del fallito.

Incremento delle spese universitarie ma senza aumento dell’assegno di mantenimento versato dal padre

Cass. Civ., Sez. VI, 14.1.2016 n. 439

Esercizio della responsabilità genitoriale – provvedimenti riguardo ai figli – assegno di mantenimento

In materia di assegno di mantenimento dei figli maggiorenni, ma non ancora economicamente indipendenti, la Corte di Cassazione ha stabilito che, se l’incremento delle spese derivanti dal trasferimento di entrambi i figli nella sede universitaria» è compensato dalla «pur saltuaria capacità reddituale» dei figli (nel caso di specie, la ragazza svolgeva lavori saltuari ed il ragazzo aveva vinto una borsa di studio), risulta meno gravoso il «sostegno economico» familiare per i loro «studi universitari».
Tutto ciò, ossia le capacità dimostrate dai due figli, rende, di conseguenza, logica la scelta di non aumentare il «contributo» offerto dal padre. Entrambi i figli, infatti, hanno dimostrato di potere «incrementare le loro disponibilità finanziarie», così da «non gravare stabilmente sui genitori».

Danno patrimoniale e danno non patrimoniale

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 13.1.2016 n. 349

Delle obbligazioni – Dei fatti illeciti – risarcimento – danni non patrimoniali

L’art. 2059 c.c. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c.: e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso. L’unica differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consiste nel fatto che quest’ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. Tra questi, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., rientra quello in cui il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona.
In virtù di tale configurazione del danno non patrimoniale, sussiste la necessità – anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili – che la lesione sia grave e che il danno non sia futile. Con la conseguenza che, anche in presenza della lesione di diritti inviolabili, non è ipotizzabile il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza della sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso, il quale deve essere allegato e provato.

La fattura commerciale non costituisce prova del credito

Cass. Sez. II, 12.1.2016 n. 299

Diritto delle obbligazioni e contratti – fattura commerciale – prova del credito – insussistenza

La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito. Pertanto, quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura non può costituire un valido elemento di prova delle prestazioni eseguite, ma può al massimo costituire un mero indizio.