Archivio mensile:dicembre 2013

Se il limite di valore è superato il mutuo fondiario non è nullo

Cass. Sez. I, 28.11.2013 n. 26672

Diritto commerciale – Diritto bancario – mutuo fondiario

Il limite di valore previsto dall’art. 38 del TUB non è una circostanza rilevabile dal contratto perché il relativo accertamento può avvenire solo con valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza. La Banca d’Italia, nel determinare il limite di finanziamento (80% valore immobile) non ha prescritto che nel contratto fossero indicati degli elementi di riferimento sul valore dell’immobile o sul costo delle opere e ciò esclude che l’art. 38 TUB abbia introdotto clausole determinative del contenuto del contratto.
Le nullità relative derivanti dalle violazioni delle disposizioni della Banca d’Italia sono, ex artt. 117 e 127 TUB nullità relative che possono essere fatte valere solo dal cliente della banca ma queste disposizioni non sono invocabili in caso di violazione del limite di valore del mutuo fondiario, limite previsto dalle disposizioni della Banca d’Italia, per in questo caso l’interesse del cliente è quello di ottenere una somma a titolo di mutuo più alta possibile. Pertanto l’eventuale nullità non potrebbe essere fatta valere dal cliente e comunque non ci sarebbe alcuna nullità perché opererebbe la disposizione dell’art. 127/2 TUB secondo cui le deroghe all’art. 117 TUB più favorevoli al cliente sono legittime. Pertanto il limite di valore indicato dall’art. 38 TUB è non a tutela dei clienti ma delle banche.
L’art. 38 TUB è norma imperativa ma riguardante non la validità del contratto ma il comportamento delle parti. La norma quindi è finalizzata ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza per evitare operazioni di impiego che, se non adeguatamente garantite, potrebbero portare a perdite di esercizio. La disposizione però non inficia la validità del contratto ma investe esclusivamente il comportamento della banca. E’ una norma di buona condotta per la banca e, se violata, può comportare sanzioni da parte della Banca d’Italia, senza però comportare nullità, anche solo parziale, del contratto di mutuo.
All’attuale mutuo fondiario non è applicabile la sentenza della Cassazione n. 9219/95 perché questa si riferiva al mutuo fondiario previsto dall’art. 3 della Legge 474 del 1949, oggi non più in vigore, e all’epoca ritenuto di scopo. L’attuale mutuo fondiario non è un mutuo di scopo.

Se il venditore non consegna il bene il contratto non è nullo ma il compratore può chiedere l’adempimento o la risoluzione

Cass. Sez. III, 28.11.2013 n. 26687

Diritto delle obbligazioni e dei contratti – inadempimento – nullità

La mancata consegna del bene oggetto di compravendita, di locazione, di leasing o di altro contratto di godimento non è causa di nullità del contratto medesimo per indeterminatezza dell’oggetto ma costituisce inadempimento e può fondare solo azioni di adempimento, di risoluzione contrattuale e di risarcimento dei danni.

Basta la spedizione della lettera raccomandata di messa in mora: la consegna al destinatario si presume

Cass. Sez. II, 28.11.2013 n. 26693

Diritto delle obbligazioni e dei contratti – costituzione in mora del debitore

L’atto di costituzione in mora del debitore non è soggetto a particolari modalità di trasmissione; nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata anche sulla base della presunzione di ricevimento fondata sull’arrivo della raccomandata all’indirizzo del destinatario, dovendo costui provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa. Questo perché la ricevuta di spedizione dall’ufficio postale costituisce, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, prova certa della spedizione, e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e quindi della sua conoscenza ex art. 1335 cc.

Mutuo fondiario illecito? Il credito va ammesso al passivo in chirografo e l’ipoteca va revocata

Cass. Sez. I, 27.11.2013 n. 26504

Diritto commerciale – Diritto Bancario – Diritto Fallimentare – mutuo fondiario

In sede di opposizione allo stato passivo, ove ritenuto il motivo illecito della violazione del principio della par condicio creditorum nell’operazione di finanziamento che ha avuto l’effetto di munire di prelazione ipotecaria il già esistente scoperto di conto corrente nei limiti della somma finanziata, va accolta la domanda subordinata, di ammissione al passivo della somma realmente erogata con il finanziamento, atteso che, all’inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità della restituzione di quanto erogato dalla banca in moneta fallimentare.

Il committente non può rifiutarsi di pagare l’appaltatore se i danni per le difformità e i vizi sono inferiori al prezzo dell’appalto

Cass. Sez. VI, 26.11.2013 n. 26365

Diritto delle obbligazioni e contratti – contratto di appalto – vizi e difformità dell’opera – eccezione di inadempimento

L’eccezione di inadempimento con la quale il committente, ritenendo che l’opera realizzata dall’appaltatore sia viziata o difforme, si rifiuta di pagare a quest’ultimo il prezzo dell’appalto, eccezione prevista dall’art. 1460 cc, va applicata secondo buona fede e quindi è necessario per giustificare il mancato pagamento del committente che la spesa per eliminare i vizi e le difformità sia proporzionata al prezzo da pagare all’appaltatore, per evitare che atteggiamenti strumentali del primo giustifichino il mancato pagamento del prezzo del contratto di appalto.

Nell’appalto il committente deve denunciare all’appaltatore le difformità e i vizi occulti entro 60 giorni dalla scoperta

Cass. Sez. III, 22.11.2013 n. 26233

Diritto delle obbligazioni e contratti – contratto di appalto – vizi e difformità dell’opera – denuncia del committente

In tema di appalto, qualora l’opera appaltata sia affetta da vizi occulti o non conoscibili, perché non apparenti all’esterno, il termine di decadenza di 60 giorni e quello di prescrizione di due anni dell’azione di garanzia, ai sensi dell’art. 1667, terzo comma, cod. civ., decorrono dalla data della scoperta dei vizi, la quale è da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza degli stessi. Conoscenza che può ritenersi comunque acquisita, senza la necessità di una verifica tecnica dei vizi stessi.

La morte di un figlio provoca sempre danni ai genitori per il loro cambiamento di vita in assenza di prova contraria

Cass. Sez. III, 22.11.2013 n. 26327

Diritto della responsabilità civile extracontrattuale – responsabilità civile da circolazione stradale – danno da perdita di prossimo congiunto

La morte di un prossimo congiunto può causare nei superstiti sia una sofferenza morale per la perdita del rapporto parentale, sia un danno biologico vero e proprio, il quale tuttavia sussiste solo in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca. La morte di una persona cara costituisce di per sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex art. 2727 cc, che i congiunti dello scomparso abbiano patito una sofferenza morale interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi.

Se il contratto di conto corrente prevede il fido non è necessario uno specifico contratto di apertura di credito

Cass. Sez. I, 21.11.2013 n. 26133

Diritto commerciale – Diritto bancario – conto corrente bancario

Qualora il contratto di conto corrente consenta al cliente di usufruire del fido, non è necessario di un formale ed autonomo contratto di apertura di credito. Infatti, perché vi sia apertura di credito in conto corrente, è sufficiente la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive, nel qual caso la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente. Tale pattuizione trova titolo nello stesso contratto di conto corrente liberamente sottoscritto dal cliente, il quale è da intendere come un solo negozio di tipo complesso, caratterizzato da unicità di causa ed assistito da un’apertura di credito di cui postula l’applicazione in via analogica della relativa disciplina, contrassegnata dall’obbligo per il cliente, che utilizzi la somma prelevata, di corrispondere gli interessi nella misura fissata dal contratto.

La transazione con il subacquirente non ferma l’azione revocatoria fallimentare

Cass. Sez. I, 20.11.2013 n. 26041

Diritto fallimentare – azione revocatoria fallimentare

Oggetto della domanda di revocatoria fallimentare non è il bene in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità ad esecuzione e, quindi, la liquidazione di un bene che, rispetto all’interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore. Sicché, quando l’assoggettabilità del bene all’esecuzione diviene impossibile perché il bene è stato alienato a terzi, la reintegrazione per equivalente pecuniario rappresenta il naturale sostitutivo. Da tale principio si è tratta la conclusione che, nel caso in cui il curatore del fallimento abbia richiesto nell’atto introduttivo del giudizio la revoca di una compravendita, non costituisce domanda nuova quella dal medesimo formulata in sede di precisazione della conclusioni, consistente nella condanna al pagamento dell’equivalente monetario, per avere il convenuto alienato l’oggetto della compravendita. Inoltre, sempre nel caso in cui colui che ha acquistato dal soggetto poi fallito abbia rivenduto a terzi ed il curatore abbia raggiunto con questi un accordo transattivo risolutivamente condizionato al rigetto della domanda nei confronti dell’acquirente, l’azione revocatoria promossa nei confronti di quest’ultimo non diviene improcedibile per impossibilità di conseguire il risultato dell’azione, che mantiene inalterati il petitum (del quale eventualmente può ridursi soltanto il quantum) e la causa petendi.

La scissione negativa non è consentita

Cass. Sez. I, 20.11.2013 n. 26043

Diritto societario – scissione

Qualora la scissione non sia stata realizzata per finalità tipiche ma per attribuire essenzialmente a una società neocostituita un apparente stato di solvibilità, si realizza una non consentita ipotesi di scissione c.d. negativa. Ricorre tale ipotesi quando il valore reale del patrimonio assegnato alla società nata dalla scissione sia negativo. Tale scissione è da ritenere non consentita in quanto non potrebbe sussistere alcun valore di cambio e conseguentemente non potrebbe aversi una distribuzione di azioni. Ciò nonostante, dopo il decorso, senza opposizione da parte dei creditori, del termine di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di scissione e dopo l’iscrizione dell’ultimo atto della scissione nel registro delle imprese l’invalidità della scissione non può essere più pronunciata.