Il fallendo deve dare la prova dell’inesistenza dei presupporti quantitativi per il suo fallimento

Cass. Sez. I, 15.3.2016 n. 5096

Diritto fallimentare – istanza di fallimento – limiti dimensionali – prova – onere

L’omesso deposito, da parte dell’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione dell’art. 15, co.4 Lf., come sostituito dal d.lgs. n. 169 del 2007, si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento, ai sensi dell’art. 1, co.2 l.f.: si tratta invero di limiti dimensionali che vanno desunti innanzitutto dalle produzioni documentali gravanti ex lege a carico del debitore. L’art. 1, co.2 l.f., aderendo ora al principio di “prossimità della prova”, pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell’art. 2083 cod.civ., il cui richiamo da parte dell’art. 2221 cod.civ. (che consacra l’immanenza dello statuto dell’imprenditore commerciale al sistema dell’insolvenza, salve le esenzioni ivi previste), non spiega alcuna rilevanza; il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell”inprenditore fallibile” affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro.