Archivio mensile:dicembre 2016

Credito al consumo: se mancano le informazioni essenziali possono venire meno interessi e spese per la banca

Corte Giustizia UE Sez. III, 9.11.2016 n. C-42/15

Diritto bancario – credito al consumo – informazioni essenziali – mancanza – conseguenze

La direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che:
– il contratto di credito non deve essere necessariamente redatto in un unico documento, ma tutti gli elementi di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della suddetta direttiva devono essere redatti su supporto cartaceo o su altro supporto durevole;
– non è necessario che il contratto di credito indichi ogni scadenza delle rate che il consumatore deve versare, in riferimento ad una data precisa, sempreché le condizioni del contratto di cui trattasi consentano a detto consumatore di individuare senza difficoltà e con certezza le date di tali rate;
– il contratto di credito a tempo determinato, che prevede l’ammortamento del capitale mediante versamenti consecutivi di rate, non deve precisare, sotto forma di tabella di ammortamento, quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso di tale capitale;
– uno Stato membro può prevedere, nella sua normativa nazionale, che, qualora un contratto di credito non menzioni tutti gli elementi richiesti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva in parola, tale contratto sia considerato esente da interessi e spese, sempreché si tratti di un elemento la cui assenza possa rimettere in discussione la possibilità per il consumatore di valutare la portata del proprio impegno.

Attribuzione del cognome paterno al figlio

Corte Costituzionale 8.11.2016

Diritto di famiglia – riconoscimento dei figli – attribuzione del cognome

E’ illegittima la norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato nel matrimonio, in presenza di una diversa volontà dei genitori.

E’ consentito al creditore parcellizzare il proprio credito quando per una parte di esso può chiedere un decreto ingiuntivo

Cass. Sez. II, 7.11.2016 n. 22574

Diritto processuale civile – azione – abuso del processo – condizioni

In via di principio non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del “giusto processo”, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Tuttavia non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca prima con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e poi con il procedimento ordinario di cognizione per la parte residua, dovendosi riconoscere il diritto del creditore ad una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per la parte di credito liquida che sia provata con documentazione sottoscritta dal debitore.

La richiesta di risarcimento “frazionato”

Cass. Sez. VI, 4.11.2016 , n. 22503

Responsabilità civile e assicurazioni – sinistro stradale – richiesta di risarcimento dei danni

Il soggetto danneggiato ha il diritto di frazionare la propria richiesta risarcitoria e domandare anche solo una porzione della stessa.
Detto frazionamento, però, ha come conseguenza che, a seguito della domanda giudiziaria di una sola parte di credito, il danneggiato perde la possibilità di agire giudizialmente per il ristoro dell’intera somma.

Regolarità della convocazione dell’assemblea condominiale

Cass. Sez. II, 3.11.2016 n. 22311

Diritto immobiliare – condominio – assemblea condominiale – convocazione – regolarità comunicazione

La presunzione di conoscenza da parte del destinatario ex art. 1335 c.c. della convocazione di assemblea inviata per posta raccomandata a.r. – e non recapitata per sua assenza (o di altri abilitato a riceverla) – si ha con l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale. È dunque da tale momento – e non dalla consegna al destinatario – che decorrono i cinque giorni prescritti dalla legge per la regolare convocazione assembleare.

La garanzia verso il terzo assuntore di concordato fallimentare può essere escussa solo dai creditori e non anche dal curatore

Cass. Sez. I, 3.11.2016 n. 22284

Diritto fallimentare – concordato fallimentare – assuntore – garanzia – escussione- legittimazione

Va soggiunto che la garanzia prestata dal terzo assuntore del concordato, benché corrisponda anche all’interesse del debitore che formula la proposta di concordato cui essa serve da supporto, è ovviamente prestata a beneficio esclusivo dei creditori. La titolarità attiva del rapporto di garanzia non è dunque certamente in capo al fallito; e tanto basta a escludere che la pretesa legittimazione del curatore a escuterla possa trovare fondamento nella previsione dell’art. 43 l.fall., giacché tale norma attribuisce al curatore la legittimazione a far valere in giudizio i diritti esistenti nel patrimonio del fallito, ma non quelli facenti capo a terzi.

Le commissioni di massimo scoperto non sono considerate ai fini dell’usura

Cass. Sez. I, 3.11.2016 n. 22270

Diritto processuale civile – procura alle liti – mancanza – sanatoria – effetti

La disposizione dettata dall’art. 2-bis, comma secondo, del decreto-legge n. 185 del 2008, che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 cod. civ., dell’art. 644 cod. pen. e degli artt. 2 e 3 della legge n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, ha carattere non già interpretativo, ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto.

Il fallimento del socio accomandatario può essere dichiarato anche dopo un anno dalla nomina del liquidatore

Cass. Sez. VI, 13.10.2016 n. 20671

Diritto fallimentare – società in accomandita semplice – fallimento del socio – condizioni

Il fallimento di un socio accomandatario di una s.a.s., ai sensi dell’art. 147 LF, può essere dichiarato anche dopo un anno dall’annotazione sul Registro delle imprese della nomina del liquidatore della società. Infatti, la messa in liquidazione di una s.a.s. non fa venir meno la responsabilità dei soci accomandatari, dato che nessuna norma prevede una tale disciplina, né tale conseguenza può farsi derivare dall’attribuzione dei poteri di gestione a un liquidatore. Essi rispondono in quanto soci e non perché abbiano o meno ricoperto anche la carica di amministratori.