Cass. Sez. Un., 20.3.2015 n. 5685
Diritto fallimentare – fallibilità – limite dimensionale – imprenditore artigiano – irrilevanza
L’art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che stabilisce,ai fini della dichiarazione di fallimento, la necessità del superamento di alcuni parametri dimensionali, esclude la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell’art. 2083 cod. civ., che ormai ai fini della fallibilità non spiega alcuna rilevanza. Il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell’imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro. Dunque il collegamento effettuato nel decreto tra la condizione di piccolo imprenditore ed i criterio di cui all’art. 1 l.f appare del tutto improprio non sussistendo più alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilità. Da ciò, a maggior ragione, si deve escludere ogni rapporto tra le disposizioni dell’art. 1 l.f. in tema di requisiti di fallibilità con la tutt’affatto diversa questione della sussistenza della natura di impresa artigiana, desumibile, in base alla normativa ratione temporis applicabile di cui si è dianzi detto, in ragione dei criteri stabiliti per l’individuazione del piccolo imprenditore.