La compensazione in sede fallimentare

Cass. Sez. III, 27.10.2015 n. 21784

Diritto fallimentare – compensazione – presupposti

In tema di compensazione, nel caso in cui alla domanda della curatela di un fallimento per la riscossione di un credito sia contrapposta domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza. Tale conclusione deriva dall’applicazione dell’art. 56 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, la cui ratio è di evitare che il debitore del fallimento, che bene abbia corrisposto il credito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare, dal rispetto della regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), dal fatto che la compensazione si configura come conseguenza della pronuncia sulla domanda riconvenzionale. Per contro, non potrà pronunziarsi sentenza di condanna del fallimento al pagamento del debito nella misura corrispondente all’eventuale eccedenza del credito verso il fallito, perché questa deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo del fallimento. In altri termini, la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all’art. 1243 c.c. ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia. Il fatto che le sentenze di accertamento del controcredito siano intervenute successivamente alla dichiarazione del fallimento è da ritenersi del tutto irrilevante.