Archivio mensile:settembre 2016

Come si impugnano l’arbitrato irrituale e la perizia contrattuale

Cass. Sez. I, 31.8.2016 n. 17443

Diritto delle obbligazioni e contratti – perizia contrattuale – impugnazione – condizioni

Sia nella ipotesi di arbitrato irrituale, sia di perizia contrattuale, la decisione degli arbitri-periti è impugnabile soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento del contratto, e non anche attraverso gli strumenti previsti dal codice di rito civile per i lodi rituali: è, cioè, rilevante la condotta dei medesimi, che sia sfociata in causa di invalidità (per incapacità o vizi del consenso) della perizia stesso. Il risultato della valutazione degli arbitri-periti può rilevare, dunque, ai sensi dell’art. 1429 c.c., quale errore che, procedendo da violazione dei limiti del mandato conferito, abbia inficiato la volontà contrattuale da costoro espressa.
In definitiva, nella perizia contrattuale gli errori in procedendo o in iudicando rilevano a condizione che si risolvano in cause di invalidità e, cioè, incapacità e vizi del consenso, mentre non è possibile far valere censure che attengano ai presunti vizi di giudizio sul dictum, com’è invece proprio dell’impugnazione del lodo arbitrale. In particolare, l’eventuale errata interpretazione ed applicazione di una regola del giudizio può ricondursi alla figura dell’abuso di mandato e, quindi essere fonte di responsabilità per gli arbitri, ma non costituisce un errore sindacabile in giudizio, tale da condurre ex post all’annullamento della loro determinazione: è preclusa l’impugnativa per errore di diritto, a meno che si tratti di errore percettivo con esclusione di eventuali errori compiuti dagli arbitri nella valutazione ed interpretazione del diritto, ivi comprese le valutazioni sull’esistenza, vigenza od efficacia della norma di diritto.

La responsabilità degli amministratori privi di deleghe

Cass. Sez. I, 31.8.2016 n. 17441

Diritto societario – amministratori privi di deleghe – responsabilità – condizioni

La responsabilità degli amministratori privi di specifiche deleghe operative non può oggi discendere da una generica condotta di omessa vigilanza, tale da trasmodare nei fatti in responsabilità oggettiva, ma deve riconnettersi alla violazione del dovere di agire informati, sia sulla base delle informazioni che a detti amministratori devono essere somministrate, sia sulla base di quelle che essi stessi possono acquisire di propria iniziativa. In definitiva gli amministratori (i quali non abbiano operato) rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori (i quali abbiano operato) soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Ne discende che, nel contesto normativo attuale, gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito “fatti pregiudizievoli” dei quali abbiano acquisito in positivo conoscenza (anche per effetto delle informazioni ricevute ai sensi del terzo comma dell’articolo 2381 c.c.) ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’ultimo comma dell’articolo 2381 c.c.: per il che occorre che la semplice facoltà di “chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” sia innescata, così da trasformarsi in un obbligo positivo di condotta, da elementi tali da porre sull’avviso gli amministratori alla stregua della “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”: altrimenti si ricadrebbe nella configurazione di un generale obbligo di vigilanza che la riforma ha invece volutamente eliminato.

Come va ripartito l’onere della prova

Cass. Sez. I, 31.8.2016 n. 17440

Diritto finanziario – obblighi informativi – adempimento – onere della prova – ripartizione

La materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta.

Come opera la surrogazione dell’INAIL nei confronti del responsabile di un infortunio

Cass. Sez. VI, 30.8.2016 n. 17407

Diritto della responsabilità civile extracontrattuale – surrogazione – effetti

La corretta interpretazione da dare al combinato disposto degli artt. 1916 cc. e 142 cod. ass., per contro, è la seguente:
(a) il risarcimento del danno biologico non può essere decurtato di quanto pagato alla vittima dannai, a titolo di danno patrimoniale;
(b) se l’Inail ha pagato alla vittima un indennizzo a titolo di ristoro di danni patrimoniali, l’Istituto avrà diritto di surrogarsi nei confronti del responsabile se e nei limiti in cui un danno patrimoniale sia stato da questi effettivamente causato;
(c) nell’ipotesi sub (b), il responsabile sarà tenuto sia a risarcire per intero il danno biologico alla vittima, sia a rivalere l’Inail nei limiti del danno patrimoniale effettivamente causato; in questa seconda ipotesi la vittima perderà ovviamente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, trasferito all’Inail per effetto di surrogazione.

Il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento decorre dalla formale cancellazione dell’impresa

Cass. Sez. I, 26.8.2016 n. 17360

Diritto fallimentare – cancellazione – termine annuale – decorrenza

Il termine di un anno, entro il quale l’imprenditore che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito, ai sensi dell’art. 10 l.fall. (nel testo modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007), decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza possibilità per l’imprenditore medesimo di dimostrare il momento anteriore dell’effettiva cessazione dell’attività, perché solo dalla suddetta cancellazione la cessazione dell’attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, salva la possibilità concessa ai creditori e al P.M. di dimostrare che l’attività è di fatto proseguita successivamente.

Il curatore può sempre esercitare l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di srl

Cass. Sez. I, 26.8.2016 n. 17359

Diritto societario – società a responsabilità limitata – amministratori – azione sociale di responsabilità – legittimazione del curatore fallimentare – sussistenza

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli artt. 2476 e 2487 cod. civ., agli artt. 2392, 2393 e 2394 cod. civ., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all’esercizio della predetta azione ai sensi dell’art. 146 legge fall., in quanto per tale disposizione, riformulata dall’art.130 del d. lgs. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l’interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 cod. civ.. Sicché, anche se si ritenesse che i creditori di srl non abbiano più l’azione ex art. 2393 cc nei confronti degli amministratori, rimarrebbe comunque esercitabile dal curatore fallimentare l’azione di responsabilità ex art. 2043 cc.

La banca intermediario finanziario deve provare l’assolvimento dei suoi doveri informativi e di diligenza

Cass. Sez. I, 26.8.2016 n. 17356

Diritto finanziario – doveri informativi – onere della prova – ripartizione

Nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che a manca la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore. Ne consegue che, in caso di operazione non adeguata, l’intermediario può darvi corso solo a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

Il recesso della banca dal contratto di apertura di credito a tempo determinato deve essere esercitato secondo buona fede

Cass. Sez. I, 24.8.2016 n. 17291

Diritto bancario – apertura di credito – recesso – modalità

In caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell’ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate.

La nullità delle clausole di un contratto bancario è rilevabile d’ufficio

Cass. Sez. I, 17.8.2016 n. 17150

Diritto bancario – contratti bancari – nullità – rilievo d’ufficio – sussistenza

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d’interesse o che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione dei principi della domanda e del contraddittorio, i quali escludono che, in presenza di un’azione diretta a far valere l’invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte dall’attore.

La banca risponde dell’utilizzo anomalo del bancomat anche prima della denuncia

Cass. Sez. I, 4.8.2016 n. 16333

Diritto bancario – bancomat – utilizzo anomalo – denuncia – necessità – esclusione

Ai fini della valutazione della responsabilità della banca per il caso di utilizzazione illecita da parte di terzi di carta bancomat, non può essere omessa, a fronte di un’esplicita richiesta della parte, la verifica dell’adozione da parte dell’istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, nonostante l’intempestività della denuncia dell’avvenuta sottrazione da parte del cliente e le contrarie previsioni regolamentari. Infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve valutarsi, tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell’accorto banchiere.