Archivio mensile:dicembre 2015

Risoluzione e recesso con azioni incompatibili tra loro

Cass. Sez. III, 30.11.2015 n. 24337

Diritto delle obbligazioni e contratti – risoluzione – recesso – incompatibilità

I rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale dei danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di “scommettere” puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta. L’azione di risoluzione avente natura costitutiva e l’azione di recesso si caratterizzano per evidenti disomogeneità morfologiche e funzionali che rendono inammissibile la trasformazione dell’una nell’altra. I rapporti tra l’azione di risarcimento integrale e l’azione di recesso, isolatamente e astrattamente considerate, sono, a loro volta, di incompatibilità strutturale e funzionale.

Il conguaglio tra due eredi disposto in vita dal de cuius non costituisce patto successorio

Cass. Sez. II, 27.11.2015 n. 24291

Diritto delle successioni – patto successorio – conguaglio – esclusione

Per la configurabilità di un patto successorio c.d. istitutivo è sufficiente una convenzione con la quale alternativamente si istituisce un erede o un legato ovvero ci si impegna a farlo in un successivo testamento, cosicché nella prima ipotesi la convenzione stessa, in quanto avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, è idonea ad integrare un patto successorio (ordinariamente vietato), senza alcuna necessità di ulteriori atti dispositivi.
Per la configurabilità di un patto successorio rinunciativo mediante assunzione di un’obbligazione occorre che l’obbligazione assunta contenga una rinuncia ai diritti spettanti sulla futura successione; la rinuncia deve essere espressa in modo non equivoco anche considerando che, ai fini della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari, occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al “de cuius” al momento della morte – al netto dei debiti — maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto; pertanto, siffatta lesione intanto può configurarsi in quanto sia verificata con riferimento alla consistenza del patrimonio al momento della morte de de cuius, momento fino al quale esso può incrementarsi per successivi acquisti.

Il socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito non deve necessariamente partecipare al procedimento di estensione del fallimento al socio occulto

Cass. Sez. VI, 25.11.2015 n. 24112

Diritto fallimentare – socio occulto – fallimento in estensione – socio già dihciarato fallito – litisconsorzio – esclusione

Nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili, legittimati passivi sono solo il curatore e i creditori istanti, ai sensi dell’art. 18 l. fall., e non è litisconsorte il socio illimitatamente responsabile, sia perché egli non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, sia perché egli può opporsi alla estensione del fallimento nei propri confronti, facendo valere la eventuale estraneità alla compagine sociale- Questo principio va affermato anche laddove si tratti del procedimento di fallimento per estensione di un socio illimitatamente responsabile, potendo, invero, il socio già dichiarato fallito intervenire ex art. 105 cpc nel giudizio concernente la dichiarazione di fallimento per estensione dell’altro socio.

La presenza di una clausola risolutiva espressa in un contratto può essere invocata solo nel rispetto del principio di buona fede

Cass. Sez. I, 23.11.2015 n. 23868

Diritto delle obbligazioni e contratti – clausola risolutiva espressa – buona fede – necessità

Anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso del diritto, preservando l’uno gli interessi dell’altro. Il potere di risolvere di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa, in particolare, è necessariamente governato dal principio di buona fede come direttiva fondamentale per valutare l’agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto). Il principio di buona fede si pone allora come canone di valutazione sia dell’esistenza dell’inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l’abuso ed impedendone l’esercizio ove contrario ad essa (ad esempio escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento).

L’investitore qualificato deve dichiarare questa sua condizione

Cass. Sez. I, 20.11.2015 n. 23805

Diritto finanziario – investitore qualificato – volontarietà – condizioni

Affinché le persone fisiche siano considerate operatori qualificati, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del regolamento Consob adottato con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998 in attuazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), occorre che le stesse abbiano manifestato all’intermediario la volontà di essere considerate tali e non è sufficiente che siano in possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal medesimo decreto legislativo per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare.

Quando la vendita diventa un patto commissorio vietato

Cass. Sez. II, 19.11.2015 n. 23670

Diritto delle obbligazioni e contratti – vendita – patto commissorio – condizioni

Una vendita stipulata con patto di riscatto o di retrovendita è nulla se il versamento del denaro da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall’articolo 2744 cod. civ., e la sua causa illecita ne determina l’invalidità ai sensi degli articoli 1343 e 1418 cc.

Qual’è la responsabilità dei direttori generali

Cass. Sez. I, 18.11.2015 n. 23630

Diritto societario – direttori generali – responsabilità – condizioni

In tema di azione di responsabilità nei confronti del direttore generale di società di capitali, la disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applica, ai sensi dell’art. 2396 c.c. (nel testo vigente prima della riforma societaria di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, che vi ha apportato modifiche non significative), esclusivamente se la posizione apicale di tale soggetto all’interno della società, sia o meno un lavoratore dipendente, sia desumibile da una nomina formale da parte dell’assemblea o anche del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria; infatti, non avendo il legislatore fornito una nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, non è configurabile alcuna interpretazione estensiva od analogica che consenta di allargare lo speciale ed eccezionale regime di responsabilità di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell’amministratore di fatto.

Quando è che il giudice può ricorrere alla valutazione equitativa del danno

Cass. Sez. VI, 17.11.2015 n. 23520

Diritto delle obbligazioni e contratti – risarcimento del danno – liquidazione equitativa – condizioni

Qualora il verificarsi non solo del fatto dannoso ma anche del danno sia stato provato nella sua materiale esistenza e qualora non sia possibile provarne l’esatto valore si apre il campo alla valutazione equitativa del giudice. Pertanto non può rigettarsi la domanda risarcitoria affermandosi che manchi la prova del danno se la prova mancante sia relativa non al verificarsi del danno in sé ma al preciso ammontare del danno, in quanto la specifica funzione della valutazione equitativa è proprio quella di supplire alla difficoltà della parte di fornire una quantificazione precisa quando l’esistenza del danno sia certa, il danneggiato abbia fornito degli elementi ai quali ancorare la quantificazione e non sia possibile fornire la prova del suo esatto ammontare.

Il coniuge che abita nella casa coniugale non per questo va considerato nel possesso dei beni per l’accettazione dell’eredità

Cass. Sez. VI, 16.11.2015 n. 23406

Diritto delle successioni – accettazione dell’eredità – possesso dei beni – condizioni

Deve escludersi che il fatto di continuare ad abitare, dopo l’apertura della successione, nella casa familiare e ad utilizzare i mobili che la corredano possa aver conferito agli odierni ricorrenti la qualità di possessori di beni ereditari per gli effetti previsti dall’art.485 cod.civ. che prevede l’accettazione tacita dell’eredità.